Tommaso Zoboli: il diario delle prime settimane di apertura di Patrizia
artwork @Simone BrillarelliIn esclusiva per The Blender il giovane chef modenese ci ha raccontato come sta andando il suo primo ristorante nel cuore di Modena
Tommaso Zoboli – ma chiamatelo Tommy – è uno chef modenese. Ha vinto il premio come Miglior giovane chef under 30 d’Italia nel 2021. Ha lavorato all’Osteria Francescana di Massimo Bottura; al 3 stelle Michelin Norbert Niederkofler; è stato sous chef di Gianfranco Pascucci a Fiumicino. Tommy ha 25 anni e il 7 ottobre ha aperto nel cuore di Modena un ristorante che si chiama Patrizia. Con lui lavorano Elettra, 23 anni, in sala, Marcello e Federico, 19 anni, in cucina.
Lavazza ha voluto supportare Tommy nel suo viaggio verso l’apertura di Patrizia. Lo ha aiutato, grazie alle competenze del Training Center Lavazza, a conoscere meglio il mondo del caffè per poter scegliere la miscela migliore per il suo ristorante, perché “scegliere il caffè è come scegliere il vino” e attraverso l’esperienza, il talento e i consigli di tre mentor d’eccezione, che Tommy ha potuto incontrare per poter meglio mettere a fuoco il suo sogno: Ferran Adrià, Davide Oldani e Jannick Sinner. Grazie alla collaborazione anche con Tuorlo Magazine, è nato il documentario “La prima volta”, un’avventura che profuma di entusiasmo, creatività, umanità. E ovviamente di caffè.
Se state leggendo questo articolo, forse avete visto il documentario. Noi di The Blender abbiamo voluto parlare con Tommy a qualche settimana dall’apertura di Patrizia, quindi qualche settimana dopo la fine de “La prima volta”. Ci ha parlato dei piatti che piacciono di più, di come sono i primi clienti, di come sta andando il team di giovanissimi con cui lavora in cucina e in sala, di quante volte pensa alle parole di Ferran Adrià, Davide Oldani e Jannick Sinner che ha incontrato nelle varie puntate del documentario. E ci ha anche dato un spoiler sul prossimo menù, quello che assaggeremo tra tre mesi. Questo è il suo diario di queste prime settimane.
“Non sapevo cosa significasse aprire un ristorante finché non l’ho aperto”
Per chi se lo stesse chiedendo dopo aver visto “La prima volta”: no, non sono andato in Polinesia come avevo dichiarato. Però in compenso la mia commercialista si è presa una settimana di ferie.
Ma devo dire la verità, ora che il ristorante è finalmente aperto è diventato un po’ più facile! Forse perché prima di aprirlo dovevo pensare continuamente al futuro, a costruire e tutto doveva ancora accadere. Adesso invece, nella gestione quotidiana, riesco a pensare giorno per giorno. Finalmente ho potuto mettere benzina nella macchina e posso iniziare il viaggio: e la cosa super è che la benzina è fatta di idee, di lavoro, di rapporti umani.
Come sono andate queste prime settimane? Sicuramente non abbiamo mai perso il ritmo che avevamo prima dell’apertura, abbiamo sempre la concentrazione altissima. Io e i ragazzi stiamo passando tantissimo tempo al ristorante e sento che stiamo andando già fortissimo, abbiamo avuto un sacco di riscontri positivi, tante prenotazioni. Stiamo piacendo!
Al pomeriggio riusciamo anche a stare insieme per pensare ai piatti nuovi ed è allora che penso ad una delle raccomandazioni di Ferran Adrià: durante il nostro incontro per “La prima volta” mi aveva detto di ritagliarmi sempre del tempo per la creatività. E ogni giorno mi dico: cavolo vedi che aveva ragione! Ripenso a quello che mi ha detto e poi a quello che ha fatto: essere stato lì, a elBulli1846 con lui, aver visitato il museo, aver potuto parlargli. Non è una cosa scontata e per me è stato davvero uno sprono per poter scrivere la mia storia, ma seguendo delle tracce importanti ed è per questo che ringrazio Lavazza.
Sono grato perché ho avuto la possibilità di avere dei rapporti e dei contatti con persone che non avrei mai potuto conoscere e che mi hanno aiutato sia a livello formativo che di mentalità: Ferran Adrià con la sua creatività, Davide Oldani con il valore del team, Jannik Sinner con i suoi consigli per affrontare le nuove sfide…sono cresciuto tanto in questo viaggio anche grazie a loro e sono riuscito ad affrontare in maniera più consapevole l’apertura. Lavazza per me è stato un tramite ed è una cosa importantissima: non so se Adrià mi avrebbe potuto dedicare la stessa attenzione e disponibilità senza l’aiuto di Lavazza! Poi sta a te stesso dimostrare di essere all’altezza della situazione. Ed è quello che cerco di trasmettere ai miei ragazzi: loro sono preparatissimi e io cerco di aiutarli ad essere preparati, ma voglio anche che escano, che parlino con le persone, con i giovani e con quelli più adulti. Perché è importante avere un collegamento che ti porti al dialogo con gli altri, ma è fondamentale farsi trovare preparati, proprio come mi ha detto Sinner: te la devi giocare come in una partita di tennis!
No, Jannick il caffè non è ancora venuto a berlo, potrei anche scrivergli ma non penso che in questo momento possa rispondermi: “sì certo, vengo a Modena a mangiare da te”! Però sarò a Torino con Lavazza per le ATP Finals, magari gli porto su dei tortellini…
Clienti speciali, piatti “da paura” e un team carichissimo
Tra i clienti speciali c’è sicuramente stata anche mia nonna. Mi è già venuta a trovare al ristorante, l’ho messa al bancone e si è messa a chiacchierare con tutti e ovviamente a raccontare storie imbarazzanti su di me. Ha anche già riprenotato! Le ho anche portato il caffè che mi hanno dato al Training Center Lavazza e ora non vuole bere nient’altro!
I clienti di queste prime settimane sono soprattutto di due tipi. Abbiamo i clienti “informati”, quelli che hanno seguito tutta la costruzione di Patrizia, i lavori, attraverso i social, le mie stories: loro arrivano già preparati sul menù, fanno conversazione, si divertono tutta la sera. Poi ci sono i modenesi che pensano si tratti di una riapertura, perché prima al posto di Patrizia c’era un altro ristorante, e inizialmente rimangono un po’ spiazzati. Una sera sono venuti due signori di circa 70 anni e volevano ordinare solo un piatto. Allora ho spiegato loro come funziona qui, che c’è un menù degustazione, che c’è il bancone e li ho convinti. Hanno fatto la degustazione: quando sono andati via erano super felici, mi hanno detto che sarebbero tornati, che siamo bravissimi! Tanti mi dicono che torneranno, per questo o per il nuovo menù (n.d.r. Patrizia ha un menù che cambierà ogni 4 mesi, raccontando di volta in volta un concept differente, a seconda delle ispirazioni di Tommaso e dei suoi collaboratori).
I piatti stanno piacendo molto. Impazziscono tutti per la Zuppa Brexit: è da paura! Nessuno si aspetta di mangiare una zuppa inglese a forma di quadro con la faccia della regina Elisabetta, poi la mangi ed è anche buona. Quando i ragazzi me l’hanno fatta assaggiare gliel’ho detto: “raga questo piatto è buonissimo”! E poi piace molto la Fry insalata, un piatto a base di baccalà che facciamo in apertura. Si aspettano tutti un’insalata, poi quando la mangiano capiscono che non c’entra niente con l’insalata, rimangono sorpresi e mi fanno un sacco di complimenti. È tutto davvero incredibile! Ripenso spesso in questi giorni alle parole di Oldani: lui ha aperto il D’O 20 anni fa eppure è sempre lì, ogni giorno, a cercare di migliorare anche solo un dettaglio del locale affinché tutto sia perfetto. Anche io voglio che sia così con Patrizia, e per fortuna ora non devo affrontare le cose da solo.
Nella gallery: Zuppa Brexit; Be Human; Air Bazzone; Rocketman; La Ghirlandina; Annamaria
Sono molto fiero del mio team, i ragazzi stanno andando fortissimo e stando insieme tutto il giorno ormai siamo diventati migliori amici. Amici che lavorano per un obiettivo.
Con Elettra ci avevo fatto la scuola a Serramazzoni, poi ci siamo un po’ persi e l’ho reincontrata in Osteria Francescana. Lei sta gestendo la sala davvero in maniera top, impeccabile. Mi aiuta anche per tutta la questione dei conti, si sta impegnando tanto e in questo momento fuori dalla cucina è davvero il mio braccio destro, ci siamo divisi il lavoro più che a metà, direi 70 lei 30 io!
Marci e Fede invece non riesco nemmeno a parlarne singolarmente! Per me sono una coppia, sembrano anche uguali, mi ricordano Pinco Panco e Panco Pinco… e sono sempre carichi come delle molle. Abbiamo in menù un piatto che si chiama World ed è davvero molto complesso, tanto che non lo abbiamo ancora inserito in degustazione. Però loro continuano a dirmi: “no dobbiamo metterlo, dobbiamo farlo!” Sono davvero sconvolto dalla maturità di gestione che hanno a soli 19 anni, io non la avevo! Durante i primi giorni di servizio avevo un’ansia addosso e pensavo di dover stare sempre in cucina con loro a cucinare. E invece? Adesso io nemmeno ci entro in cucina durante il servizio: io sto sempre al bancone, impiatto soltanto e loro fanno uscire tutto perfetto. C’è una telepatia che per me è inverosimile, sono davvero colpitissimo. Marcello è un po’ più creativo e pazzerello, Federico è più inquadrato e metodico. Ma insieme si completano e diventano una cosa sola, per me ormai sono un’entità unica: sono Marci&Fede.
Poi rispetto al team, ovviamente aveva ragione Ferran Adrià! Ripenso alle sue parole praticamente tutti i giorni. Lui lo aveva predetto dal primo secondo: quando abbiamo aperto non riuscivamo a gestire la saletta privata e allora abbiamo cercato una cameriera in più, subito!
L’importanza del caffè, tra tipi da chemex, moka o espresso
Mi piace tantissimo stare al bancone. Mi piace spiegare tutti i piatti perché ognuno ha una storia, un’idea: in tutto il concept di Patrizia c’è una parte narrativa molto importante e cerco sempre di raccontare perché facciamo ogni piatto. Ma il mio menù non finisce con il dolce e tanti rimangono stupiti che anche sul menù cartaceo – che è costruito come un magazine – c’è un’intera pagina dedicata al caffè: dopo la mia esperienza al Training Center ho scelto la miscela La Reserva de ¡Tierra! Colombia, non solo per il caffè in sé ma anche per il progetto di sostenibilità umana e ambientale che c’è dietro e che mi piace raccontare e far conoscere.
Avevo avuto già a che fare con la complessità del mondo del caffè, avevo assaggiato diversi tipi di estrazione: ma quando ho assaggiato la chemex fatta con La Reserva de ¡Tierra! e il caffè sapeva di mango è stato pazzesco!
Da Patrizia abbiamo 3 tipi di estrazione perché mi ha colpito moltissimo come lo stesso caffè cambia nel tipo di estrazione ed è quello che voglio proporre: moka, chemex ed espresso. Sono diventato mega appassionato di chemex ora: all’inizio volevo che la facesse Elettra e invece la faccio solo io al bancone! Mi piace tutto il rituale, sembra quasi una danza. E mi piace, in base al cliente, senza chiederglielo, capire che caffè servirgli, come se fosse cucito addosso a lui. Uno che fa il menù completo da 8 portate ha più tempo, sa sentire i sapori, sa capire quello che sto facendo: è un tipo da chemex!
Ai signori più anziani faccio la moka e loro impazziscono, mi dicono sempre: “è come la faccio a casa ma questa è così buona, ma come l’hai fatta? Dimmi il segreto, fai la montagnetta?” E io gli spiego che no, mi hanno insegnato che la montagnetta non devo farla! A pranzo invece prendono quasi tutti il menù da 3 portate, magari non hanno tempo, e allora gli fai l’espresso.
È davvero sbagliato perdersi sul caffè. Dai tantissimo per preparare la cena, ti impegni per far stare bene i clienti e poi ti scordi che il gusto con cui vanno via è quello del caffè. Se non è un buon caffè fanno 5 passi fuori dal ristorante e pensano “ma io c’ho sto gusto che non è buono”.
E invece il caffè deve essere la degna chiusura di un percorso, e così insieme al caffè diamo anche un cioccolatino creato dal cioccolatiere Marco Colzani. Lui ha assaggiato il caffè e ha creato un cioccolatino apposta, che richiama il gusto di frutta esotica del Reserva de ¡Tierra! Colombia: è un cioccolato in purezza fondente 78% Sao Tome. E non ho bisogno di altra piccola pasticceria.
Anche la miscela cambierà in base al tema del menù, il tema di cui Patrizia si è vestito. Un piccolo spoiler, visto che a quello nuovo già stiamo lavorando: il prossimo tema sarà vicino alle favole e con i ragazzi ci siamo messi a rileggere le favole che leggevamo da bambini per trovare l’ispirazione.
In quello attuale che è Graffiti edition, abbiamo voluto invece dire grazie a Modena, perché dobbiamo esserle grati. Noi giovani non odiamo la tradizione, vogliamo semplicemente dire la nostra, vogliamo mettere il nostro segno sulle cose: così come la street art cambia l’estetica dei monumenti storici senza cambiarne il contenuto o l’anima, noi abbiamo fatto la stessa cosa, abbiamo cambiato estetica e consistenze delle ricette senza cambiare l’anima della storia modenese.
Voglio trasmettere la mia appartenenza a Modena, ma anche l’appartenenza alla mia generazione: non c’è niente da innovare, io voglio tradurre la tradizione in base alla mia storia.